Zanetti: “Seguo l’esempio di Facchetti. Mi voleva il Real, ma l’Inter è la mia vita. In futuro…”

Javier Zanetti, vincitore del premio “Giacinto Facchetti, il bello del calcio” assegnato dalla Gazzetta dello Sport, è stato intervistato da Gianfelice Facchetti per l’edizione odierna di Sportweek, il settimanale della rosea.

Si parte inevitabilmente dai motivi che hanno spinto il capitano nerazzurro e la moglie Paula a dar vita alla “Fundacion Pupi”: “Era un desiderio che ci portavamo dietro da tempo. Quando nel 2001 l’economia argentina è crollata, ci siamo resi conto che bisognava fare qualcosa di concreto. Vedevamo condizioni di povertà estrema proprio sotto i nostri occhi e ci sentivamo impotenti. La cosa più urgente era seguire i casi con rischio più alto, cercando di dare un’alternativa ai bambini con situazioni familiari difficili. Alla Fondazione ci prendevamo cura del loro tempo libero: volley, basket, musica, nuoto e calcio. I bambini all’inizio erano 39, ora sono più di mille. Chi l’avrebbe immaginato dieci anni fa?”.

Zanetti racconta poi gli esordi della sua carriera: All’Indipendiente mi scartarono perché ero troppo piccolo, fu una delusione dura perché era la mia squadra del cuore. Poi papà e mio fratello Sergio mi incoraggiarono affinché resistessi. Arrivai al Banfield, andando presto in prima squadra, salendo dalla B alla A. Poi fu la volta della nazionale e dell’Inter, la squadra della mia vita”.

A proposito del suo trasferimento in nerazzurro, Pupi racconta: “Facemmo un torneo a Mar del Plata, c’erano Suarez e Mazzola con osservatori di altre squadre. Passarella mi chiamò in disparte: ‘Pare che ti abbia comprato l’Inter’. Non riuscivo a crederci. Andai in macchina a San Siro e ricordo quanta soggezione mettesse visto da fuori. Non mi immaginavo in mezzo al campo. Poi alla prima di campionato quando uscii dal sottopassaggio capii che il mio sogno si stava realizzando. Metto d’accordo tifosi di ogni fede? Sì, c’è tanto rispetto. E’ bello che quando finisce il calcio, resta la persona”.

“Qual è il segreto della mia longevità? Mi alleno tanto cercando di stare al ritmo delle partite. I miei maestri? Non posso non pensare a tuo papà (Giacinto Facchetti, ndr). Parlavamo spesso, raccontava delle sue partite. Arrivavo ad Appiano e lo vedevo come un simbolo, anche in anni difficili per i nostri colori. Ricevere questo premio mi riempe d’orgoglio. Grazie Giacinto.

Il capitano svela poi alcuni retroscena di mercato: Mi voleva il Real Madrid, quando all’Inter arrivò Cuper. Lui mi dice: ‘Pare che tu voglia andar via’. Parlai subito con il presidente Moratti perché volevo restare. Avevo il pensiero fisso di vincere con l’Inter, andarmene non sarebbe stato da me. Da lì in poi con Cuper ritrovammo un’anima e mettemmo una base per i successi futuri. Qual è stata la gioia più grande? La vittoria in Champions, la inseguivo da troppo tempo. Prima della partita capii che difficilmente mi sarebbe potuta capitare un’altra partita così. Ricordo che quando l’arbitro segnalò due minuti di recupero già piangevo, guardavo Samuel e non riuscivo a trattenere le lacrime. La sconfitta più dura? La semifinale di Champions col Milan. Uscimmo con due pari, mai visto San Siro così, una cosa incredibile”.

Parlando dei compagni a cui si è affezionato di più nei suoi 18 anni ad Appiano, Zaneti confessa:Zamorano e Cordoba, sono quelli con cui ho costruito un rapporto più intenso. Che effetto mi fa vedere Ivan in panchina? Meritava di continuare a fare parte della famiglia Inter. E’ disponibile e generoso come pochi, l’uomo giusto al posto giusto. Sono felicissimo del suo ruolo”.

In chiusura una battuta sul futuro: “Non mi ci vedo come allenatore. Mi piacerebbe fare il dirigente e stare vicino alla squadra per trasmettere l’amore per questi colori che ancora porto come alla prima col Vicenza. Una società nei ruoli cruciali dovrebbe avere persone che rappresentino la sua storia, figure in grado di trasmettere attaccamento alla maglia”.

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