Moratti e l’incubo del fair play finanziario

La mesozoica era nella quale Massimo Moratti, almeno dal punto di vista pallonaro, era considerato dagli avversari e dalla stessa stirpe nerazzurra un incapace, un romantico, un passionale o – ancor peggio in un’epoca come la nostra – un ingenuo, sembrava essere ormai definitivamente alle spalle. Tutti, in primis gli stessi tifosi, hanno cacciato lontano (ben volentieri) dalla propria memoria il retaggio del primo decennio (’95-’05) del patriarcato morattiano. Insomma, i sette milioni versati al Monaco per Maicon, il tesseramento a parametro zero di Cambiasso, il pugno di ferro nell’estate 2009 nell’affaire Ibrahimovic, hanno offuscato il mantenimento regale dell’impalpabile Recoba, la fuga notturna Vieri-Di Biagio dalla Pinetina e, soprattutto, il tragicomico scambio Cannavaro-Carini del 2004 (sebbene in quel caso fossero entrati in gioco fattori extra calcistici nella valutazione del Pallone d’oro 2006) .

Ma gli ultimi mesi – e in particolare gli ultimi giorni – con i numerosi movimenti di mercato in uscita e una sostanziale assenza di un progetto ben delineato in entrata, sia tecnico sia tattico, hanno fatto ricomparire i vecchi fantasmi. Il low profile nerazzurro degli ultimi due anni può, in effetti, essere ricondotto a soli due fattori: o una crisi economica del gruppo azionista del Biscione, la Saras, colosso della raffinazione, o un’adesione intransigente al fair play finanziario, il regolamento della Uefa approvato nella scorsa estate per limitare l’indebitamento dei club. Escludendo la prima ipotesi – i bilanci della Saras non sono in uno stato tanto deficitario da impedire la gestione sulla falsariga di quella degli ultimi anni – resta la pista delle norme Uefa.

Le direttive, il cui mancato rispetto diverrà sanzionabile non prima del 2013-2014, hanno spaventato non poco il patron interista. “Credo non sia giusto cancellare la storia di un club se capita che momentaneamente non si trovi in regola con i parametri – analizzava Moratti nello scorso mese di gennaio – Sarebbe più opportuno magari costringere una società a un turno in più in Europa piuttosto che metterla fuori dalle coppe”. Al di là dell’antiliberalismo sovietico del regolamento, che limita la possibilità di investire e, qualora si voglia, di gettare i propri soldi dove meglio si creda (basterebbe, al contrario, accettare eventuali ricapitalizzazioni e impedire prestiti bancari, con sanzioni anno per anno), le prescrizioni Uefa risulteranno impraticabili.

Il grande calcio non ha tempo di aspettare e, per colmare il gap con una diretta concorrente, l’unica via possibile è quella di gettarsi sul mercato e strappare firme ai campioni. Qualora una formazione come Real Madrid, Manchester United e Milan dovessero sforare il budget e spendere più dei propri introiti, nessun organo Uefa avrebbe il rigore e l’intransigenza necessaria per escludere le superpotenze delle competizioni: ne andrebbe degli stessi bilanci Uefa. Al massimo potrebbero esserci pene pecuniarie di medio-bassa entità. Una farsa, insomma, che andrebbe a colpire, ancora una volta, le piazze con piccoli bacini di utenza e introiti televisivi ridotti, impossibilitati, d’ora in poi, ad affidarsi al sogno del mecenatismo di un investitore.

Nel frattempo, se la norma entrasse in vigore oggi, Valencia, Barcellona, Milan, Inter, Chelsea e le due formazioni di Manchester sarebbero fuori dai giochi. Senza contare che i prestiti bancari madridisti per la campagna acquisti 2009 non sarebbero stati possibili. Una vera e propria utopia. Stia tranquillo Moratti e, qualora abbia ancora il desiderio di finanziare il giocattolo nerazzurro, continui pure a farlo.

Emanuele Alberti

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